Terra dei fuochi e il servizio de Le Iene. I consumatori: “Cosa fare? Quali sono le aziende che usano verdure contaminate?”

IL SERVIZIO DE LE IENE – Un servizio delle Iene di Nadia Toffa si è occupato dell’infame crimine perpetrato da anni dalla camorra che riguarda lo sversamento e la messa a fuoco di rifiuti pericolosi nella terra cosiddetta dei fuochi, una vasta area situata nell’Italia meridionale, tra la provincia di Napoli e della provincia di Caserta, e dell’impatto sulla salute dei cittadini che abitano in quelle zone dove l’incidenza dei tumori è spaventosa. Ulteriore aggravante di quella situazione è che intorno a quelle zone vi sono terreni che dovrebbero essere interdetti alla coltivazione eppure vengono non solo coltivati ma i prodotti pare vengano venduti all’ingrosso ad aziende che poi li vendono a tutti noi consumatori. Nel servizio non vengono fatti i nomi delle ditte perché probabilmente sono in corso delle indagini, cosa che auspichiamo e che chiederemo alle autorità competenti. Il problema dei controlli del cibo che arriva sulle nostre tavole è da affrontare seriamente con l’ottenimento di informazioni pubbliche per i consumatori sulla fonte e l’origine delle materie prime e sull’analisi chimico fisica del prodotto, insieme a controlli serrati da parte delle forze dell’ordine. I controlli sono fondamentali per la salute dei consumatori. Controlli dovuti anche per rispetto di tutti quei cittadini campani che per colpa della camorra stanno morendo di tumore o della malattia come viene ormai chiamata dagli abitanti di quella zona. E’ necessario bloccare questo business della morte che avvelena l’aria e la terra. I contadini di quelle terre inoltre, se non assistiti nell’immediato dallo Stato, nel trovare terreni puliti da coltivare, pur di guadagnare e lavorare, rischiano di diventare criminali a loro volta (sempre che già non lo siano in accordi con la camorra) rendendosi complici insieme alle aziende che acquistano di questo orrendo business della morte. E’ un sistema in cui le vittime siamo tutti noi.

Il problema dell’inquinamento alimentare della Terra dei Fuochi non è da circoscrivere ai soli ortaggi, visto che in quelle zone si allevano anche animali che vengono poi macellati o si producono anche latte e tutti i suoi derivati. Non dimentichiamo però che il giusto messaggio di queste ore, ulteriormente rafforzato dalla campagna in atto “Adottiamo la terra dei fuochi” lanciata da Selvaggia Lucarelli con il contributo di molti personaggi dello spettacolo  è chiaro: non bisogna lasciare morire quelle zone, non bisogna abbandonarle. E quando si dice non lasciarle morire si intende fare di tutto per interrompere l’avvelenamento di quelle terre con l’intervento dello Stato migliorando al contempo le leggi sulla tracciabilità per fare in modo che l’economia di quella zona venga salvata e rilanciata e non lasciata alla criminalità.

Bisogna che i consumatori possano essere tranquilli nel consumare i prodotti provenienti da quelle terre. Fino ad oggi invece pare che la soluzione per fare stare i consumatori tranquilli sia stato l’opposto: conviene far dimenticare, non fare sapere da dove provengono certi prodotti. Come se l’ignoranza fosse la chiave di profitto maggiore. Non è così. E’ la trasparenza invece la leva su cui devono puntare le aziende e le istituzioni perché chi arriverà a sposare questa visione del commercio e del rapporto con i consumatori sarà anche chi genererà profitti e rilancerà l’economia.

QUALI SONO LE AZIENDE CHE ACQUISTANO QUELLE VERDURE – I consumatori spaventati ci hanno iniziato a scrivere  subito dopo il servizio televisivo chiedendoci quali siano i nomi delle aziende che fanno surgelati o passate di pomodoro con quelle verdure inquinate mostrate nel servizio televisivo. Molti i commenti anche sulla pagina della trasmissione televisiva in cui si chiede il perché sono stati censurati i nomi delle aziende. Confermiamo che i nomi almeno al momento non ci risultano pubblici, anche perché come già detto non è escluso che vi siano delle indagini in corso.

COSA POSSONO FARE I CONSUMATORI – La problematica emersa dal servizio de Le Iene è seria e va affrontata come tale. E’ importante sensibilizzare quante più persone possibile sull’impatto devastante che il crimine mafioso italiano sta scaricando sulle vite di persone innocenti. Ora però in preda all’indignazione e alla paura cosa bisogna fare? Agire. Chi deve agire? La società civile, tutti noi quindi, la politica e il tessuto imprenditoriale serio che ritiene la trasparenza verso il consumatore un valore. La terra dei fuochi è un esempio di zona colpita dal crimine dell’ecomafia, ma non è sicuramente l’unica. Quante zone coltivate, o quanti animali si nutrono in zona fortemente inquinate senza che i consumatori lo sappiano? Quante zone di mare hanno sui fondali scorie di cui non siamo a conoscenza? Quello che bisogna fare è agire per risolvere il problema alla fonte. Come? Facendo cambiare le leggi.

PETIZIONE E MIGLIORAMENTO DELE LEGGI SU TRACCIABILITA’ E ANALISI CHIMICO FISICHE: Bisogna cioè migliorare le leggi esistenti obbligando i produttori a tracciare le materie prime e renderle pubbliche ai consumatori sia sull’etichetta dei prodotti sia su schede tecniche di approfondimento raggiungibili sui siti internet delle singole società corredate da analisi chimico fisiche anch’esse pubbliche. Bisogna cioè puntare al valore della trasparenza in cui l’azienda al silenzio o se preferite al segreto preferisce informare e far conoscere ai consumatori con cosa sono fatti i loro prodotti.

Potete capire voi stessi come sia differente un’etichetta di una salsa di pomodoro con scritto semplicemente alla voce ingredienti la parola pomodoro da un’etichetta con scritto alla voce ingredienti la parola pomodoro con l’origine e la zona di provenienza es: (PAESE: Italia, REGIONE: Campania ZONA: Caserta) seguita dall’analisi chimico fisica del prodotto. In più nelle schede di approfondimento sui siti aziendali dovrebbe esserci l’obbligo del segnalare anche i fornitori periodici che ovviamente non ha senso scrivere sull’etichetta cartacea in quanto possono anche cambiare con una certa frequenza. La tecnologia e il web acquistano valore per questo scopo. La differenza sostanziale sarebbe quindi che il consumatore saprebbe da dove proviene la materia prima utilizzata, e dall’altra parte si avrebbe un’azienda che ci mette la faccia dichiarando da dove provengono le materie prime e assumendosi la responsabilità delle dichiarazioni pubbliche sulle analisi chimico fisiche del prodotto. Ad oggi conoscere la provenienza della materia prima di un prodotto elaborato è praticamente impossibile perché semplicemente la legge non prevede quasi mai tale obbligo.

MA LA TRACCIABILITA’ AD OGGI ESISTE? Molti consumatori se lo stanno chiedendo. Diciamo che se la tracciabilità di un prodotto è indicata spesso non la si sa leggere perché è pensata più per addetti ai lavori che per i consumatori finali.

Possiamo dire che il soggetto protagonista della garanzia di filiera non è una singola azienda, ma l’insieme delle aziende che contribuiscono alla realizzazione del prodotto. Nella situazione attuale del mercato, la garanzia dei prodotti è presentata al consumatore con il marchio dell’azienda che ha confezionato il prodotto. Dove invece si vendono prodotti alimentari sfusi e a taglio la garanzia non può che essere quella del dettagliante finale. E’ evidente che si tratta di garanzie parziali. Se infatti chi presenta il prodotto al consumatore non conosce completamente la storia del prodotto non può offrire una garanzia soddisfacente. La tracciabilità di filiera propone dunque il più completo coinvolgimento delle vere responsabilità ed un modello di integrazione verticale tra le aziende della filiera. Ma siamo ancora lontani da un modello di questo tipo. E’ partito qualcosa per quanto concerne ad esempio il mondo Bio dove da giugno 2013 è obbligatoria la tracciabilità delle importazioni di materie prime di natura biologica.

RENDERE PUBBLICO ORIGINE DELLA MATERIA PRIMA E STABILIMENTO DI PRODUZIONE. Il “Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari” affronta il tema della rintracciabilità, prescrivendo agli operatori di tenere adeguati registri per l’individuazione dei fornitori delle derrate alimentari e degli ingredienti, nonché di mettere in atto adeguate procedure per il ritiro dal mercato di quei prodotti che dovessero presentare un rischio serio per la salute del consumatore. Troppo poco però secondo noi. Ci vuole l’obbligo di rendere pubblico ai consumatori l’elenco dei fornitori e delle zone di origine dei prodotti e delle materie prime, oltre alle analisi chimico fisiche e lo stabilimento di produzione in cui il prodotto è elebatorato. E’ il consumatore che deve poter conoscere in maniera semplice e intuitiva la storia di un prodotto non come addetto ai lavori che sa come leggere numeri e sigle ma proprio come un semplice consumatore, che può essere un giovane così come una madre o un padre di famiglia o un pensionato.

FIRMATE e FATE FIRMARE: Il primo tassello a favore della tracciabilità è conoscere chi fabbrica ed elabora le materie prime, ed è tutt’altro che scontato identificarlo attraverso lo stabilimento di produzione. Stiamo raccogliendo infatti da qualche mese le firme per mantenere obbligatorio sull’etichetta dei prodotti l’indicazione dello stabilimento di produzione che consente ai consumatori di conoscere chi fabbrica e dove viene elaborato il prodotto, perché ironia della sorte e alla faccia della tracciabilità il regolamento europeo in vigore ad eccezione di carni e latticini su cui è previsto il codice sanitario (che è comunque un numero non testo…) dice che basta in etichetta solo l’indicazione del marchio che è il responsabile legale di ciò che si vende. Al consumatore italiano quindi non è già ad oggi dato sapere dov’è fabbricato un prodotto come ad esempio i cereali per la prima colazione se provengono dall’estero figuriamoci sapere da dove proviene la materia prima con cui sono fatti (mais). Se entro il 2014 non si farà qualcosa, rischiamo di perdere l’indicazione dello stabilimento di produzione anche sulle etichette dei nostri prodotti italiani. Come si può pensare di ottenere una tracciabilità completa delle materie prime se già viene ritenuto superfluo scrivere qual è lo stabilimento di produzione? Quindi è importante firmare, farsi sentire e agire quanto prima per migliorare le leggi vigenti in tema di tracciabilità. Se c’è una legge giusta è quella che dà modo al consumatore di sapere da dove provengono gli ingredienti di un determinato prodotto, chi sono i fornitori e sapere dove il prodotto è eleborato. Vendere una passata di pomodoro, e ritrovare sull’etichetta solo la dicitura PRODOTTO IN GERMANIA senza quindi sapere in quale stabilimento è stato elaborato il prodotto e non poter sapere subito dopo se quei pomodori vengono da zone come la Terra dei Fuochi non è forse tutto fuorché una legge a favore dei consumatori? FIRMA LA PETIZIONE NESSUNO TOCCHI L’INDICAZIONE DELLO STABILIMENTO DI PRODUZIONE: CLICCA QUI

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