La censura colpisce le etichette dei prodotti italiani

Incredibile, è bastato poco tempo e già compaiono sul mercato le prime etichette di prodotti italiani “censurate”, diventate “mute”, che non ci consentono più di capire DOVE esattamente e CHI fabbrica il prodotto. La censura legalizzata è entrata in vigore il 13 Dicembre 2014 con il Reg. Europeo 1169/2011 in tema di etichettatura: il regolamento ha eliminato l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione sull’etichetta, poiché ha abrogato la nostra “buona” legge italiana del 1992 il D.Lgs 109/92 che invece ne prevedeva l’obbligo. Il Governo, a parte dire che è un’informazione utile e necessaria, non ha ancora fatto nulla.

Non ci sono mezze parole o giustificazioni, si è tornati indietro, ci si è uniformati ad una regola comune europea che rende ai consumatori di fatto impossibile capire esattamente DOVE e CHI fa un prodotto. Avevamo una legge italiana risalente al 1992 che funzionava e i Governi che si sono succeduti dal 2011 invece di proteggerla, mantenerla e lavorare per estendere in Europa gli aspetti positivi di tale legge che obbligavano di fatto ad inserire in etichetta l’indirizzo di chi faceva il prodotto cosa hanno fatto? Niente, anzi peggio abbiamo acconsentito che il Regolamento eliminasse dall’etichetta informazioni fondamentali sull’origine dei prodotti. Potete vederlo voi stessi il danno che ha provocato il nostro silenzio-assenso passato…guardando l’immagine di questa etichetta di uno stesso identico prodotto PRE e POST Regolamento Europeo.

L’ESEMPIO CONCRETO: La stessa identica confezione di Plumcacke della Lidl a marchio Nastrecce ante 13 Dicembre 2014 riportava in base alle legge 109/92 l’indicazione dello stabilimento di produzione e infatti leggiamo: Prodotto in Italia da Vicenzi Biscotti Spa, Via F. Forte Garofaolo 1, 37057 S. Giovanni Lupatoto (VR) nello stabilimento di Nusco (AV), Contrada Fiorentine, Zona Industriale F1. Potevamo quindi sapere esattamente DOVE e CHI faceva un determinato prodotto.

Sulla nuova confezione Post 13 Dicembre 2014 con l’applicazione del nuovo Regolamento Europeo 1169/2011 leggiamo invece solo: Prodotto in Italia, Lidl Italia Srl, Via Augusto Ruffo 36, I – 37040 Arcole (VR)

Si ma in Italia dove precisamente in quale stabilimento? Boh, non è dato saperlo e quindi di fatto non sappiamo più CHI fa un prodotto italiano e in quale stabilimento. Senza l’indicazione dello stabilimento di fatto non potete più sapere esattamente DOVE e CHI fa il cibo che mangiate.

Etichetta d'esempio. Confronto Prima e Dopo Reg 1169/2011. Oggi non si capisce più CHI fa e DOVE viene fatto un prodotto

Etichetta d’esempio. Confronto Prima e Dopo Reg 1169/2011. Oggi non si capisce più CHI fa e DOVE viene fatto un prodotto

Le Responsabilità di questo stato di cose è di quella politica e di quella parte dell’industria che non vuole che i consumatori conoscano di fatto l’origine dei prodotti, perché evidentemente il mercato, i costi, la concorrenza, vengono prima della trasparenza.

Eppure il Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, ha ribadito più volte che la trasparenza e la tutela del Made in Italy sono una priorità. Qualche giorno il Ministro ha anche Retwettato la frase di Ermanno Olmi “Viene prima l’onestà di chi produce, poi il mercato” Una frase piena di significato che mette in evidenza come alla base del mercato dovrebbe esserci prima di tutto l’onestà e la trasparenza verso i consumatori.

Il Ministro Martina, capito il danno provocato dal Regolamento Europeo, dapprima dagli studi di SkyTg 24 in una puntata che ci ha visto partecipi ha invitato le aziende a continuare a scrivere lo stabilimento di produzione sulle proprie etichette, ha poi fatto un editoriale sul suo blog “Lo stabilimento di produzione è una priorità” ed ha poi chiesto alla sua collega Ministro Federica Guidi e al Ministero dello Sviluppo Economico di lavorare insieme per ripristinare l’obbligo dello stabilimento in etichetta in Italia ed estendere tale obbligo anche in Europa. Ma per adesso, dopo una prima riunione, in cui le parti hanno convenuto sulla necessità dell’obbligatorietà dello stabilimento di produzione sull’etichetta, si sono visti ancora pochi fatti. Da qualche parte ci deve essere qualcuno che frena.

Intanto però possono dilagare sul mercato italiano le etichette “mute” di quelle aziende che non hanno sottoscritto la nostra petizione e che, pur potendo, non vogliono (ed ecco perché serve l’obbligo) dire al consumatore DOVE e CHI fa i propri prodotti.

Lidl non ha ancora firmato la nostra petizione e (sarà un caso?) dal 13 dicembre 2014 ad oggi ha eliminato l’indicazione dello stabilimento di petizione da diverse etichette di suoi prodotti presenti nei suoi punti vendita.

Eppure i consumatori continuano a chiedere che tale informazione rimanga. Perché Lidl l’ha tolta? Per rispettare la nuova legge? Ma la legge, pur avendo tolto l’obbligo, non impedisce di scrivere lo stabilimento, che anche il Ministro Martina ha chiesto alle aziende di continuare a scrivere in segno di trasparenza. Forse l’azienda tedesca con sede italiana ad Arcole (VR) non vuole far sapere chi fa i suoi prodotti? Che problema c’è nel dire ai consumatori chiaramente DOVE e CHI fa i suoi prodotti? Lidl che è il committente e quindi il responsabile legale dei prodotti a marchio Nastrecce (nel caso del prodotto dell’immagine), ma anche dei marchi Certossa, Milbona, Salumeo, Italiamo, Linessa, Lovilio, Bellarom, Freeway, Bellona,  e tanti altri ha la facoltà di decidere, anche se il produttore dovesse essere essere contrario, di scrivere l’indirizzo dell’Azienda Produttrice. Così ha fatto Conad che si è assunta l’impegno di continuare a scrivere lo stabilimento anche se la legge non lo prevede più. Così si sono assunti l’impegno di continuare a dire ai consumatori esattamente DOVE e CHI FA un prodotto anche Coop, Selex, Unes , Coralis, Eurospin, Auchan, Simply. Lidl ancora no. Ma non è mai troppo tardi, in qualsiasi momento l’azienda può scegliere di impegnarsi verso i suoi clienti e continuare a dare un’informazione importante e fondamentale come lo stabilimento di produzione. O può scegliere il silenzio come ha fatto sino ad adesso. Lo stesso dicasi per Esselunga, Carrefour e per tutte quelle aziende produttrici che non hanno ancora firmato la petizione per mantenere l’indicazione dello stabilimento di produzione sull’etichette.

Cosa chiediamo attraverso la petizione che anche i consumatori possono firmare qui:

Riteniamo che sia la trasparenza la leva su cui devono puntare le aziende e le istituzioni, perché chi arriverà a sposare questa visione del commercio e del rapporto con i consumatori sarà anche chi genererà profitti e rilancerà l’economia. La comunità di oltre 100.000 consumatori che seguono Ioleggoletichetta è nata grazie all’indicazione dello stabilimento di produzione in etichetta che consente di conoscere il nome della ditta che produce un determinato prodotto. Tale partecipazione riteniamo sia un motivo più che valido per impegnarsi affinché venga data la giusta importanza a questa informazione necessaria per i consumatori, rendendola pertanto obbligatoria.

Chiediamo al Governo Italiano di impegnarsi affinché l’obbligo di indicare in maniera testuale l’indicazione dello stabilimento di produzione rimanga.

– Chiediamo al Parlamento Europeo che l’obbligo nell’indicare lo stabilimento di produzione in etichetta venga esteso e integrato nel Reg. 1169/2011. Chiediamo che il bollo sanitario come identificativo numerico sia esteso non solo su carni e latticini ma anche su tutte le altre categorie di prodotto insieme all’informazione testuale caratterizzata da PAESE, CITTA’, VIA E NUMERO CIVICO che identifica lo stabilimento di produzione.